martedì 19 gennaio 2010

LUCANIA, LA TERRA DEI TRE IMPERI D’OCCIDENTE


LA TERRA DEI TRE IMPERI

di Aristocrazia Duracruxiana
Conosciuta anche col meno amato nome bizantinofono di “Basilicata”, la Lucania è senz’altro una delle regioni d’Italia meno conosciute, visitate, turisticizzate; e non è un caso, né tantomeno la sfiga, ma una meravigliosa evidenza della sua natura di terra fiera, impervia e senza compromessi.Gli stessi Romani dovettero faticare non poco per penetrarvi e sottometterla, senza fra l’altro riuscirvi completamente per via dell’ardore dimostrato dagli antichi “Lucoi” (foto 1), i “boscosi” abitanti autoctoni, che in ogni caso non permisero la costruzione di alcuna via di collegamento diretto fra Roma e l’approdo metapontino al mar Jonio, che sarebbe invece dovuta essere quella via Appia, di fatto deviata verso le puglie.Questa sua natura geografica severa e impietosa è riuscita a proteggerla nei secoli da invasioni, stanzialità allogena, ipertrofia demografica, immigrazione e persino da quel turismo di massa in ogni caso nefasto; e tuttociò nonostante in poco spazio, delimitato da ben due mari, vi sia un concentrato di preistoria, fenomenologia carsica e geologica fra cui laghi vulcanici unici nel loro genere come quello di Monticchio, una orografia spettacolare e molto simile a quella alpina, spiagge incontaminate, siti archeologici, templi greci, città romane, grotte paleocristiane, chiese rupestri, cattedrali gotiche e castelli medievali. Il tutto ammantato da un clima secco e ideale in ogni stagione, una pulizia dell’ambiente degna d’un paese del nord Europa, ed una cordialità dei locali senz’altro specchio di quelle certezze etnografiche e identitarie che accennavamo all’inizio.
Anzitutto, girando per la regione, si fatica a credere di trovarci nell’ipertrofica e cementosa Italia attuale, quando in piena stagione estiva, pur procedendo su strade e superstrade di grande raccordo intraregionale, possono trascorrere interi minuti di orologio senza che s’incroci neppure un’altra automobile. Fantastico.
Eppure di ricchezze che la rendessero appetibile questa terra ha sempre abbondato: i Greci, nel VII secolo a.C. già intrattenevano benevoli scambi commerciali con le popolazioni locali, i cui cenni reciproci furono da presto ben riscontrabili nell’artigianato (foto), nei costumi, nella cultura enologica della regione che non a caso chiamarono Enotria e che, sbarcativi a Metaponto, fascinarono e assorbirono a loro volta, amplificandone poi il gusto e le forme grazie al successivo imperialismo magnogreco che fece da cassa di risonanza della cultura lucana sino a Roma: si guardi la somiglianza delle armi (foto), la presenza nell’Olimpo sia greco che romano di divinità italiche antichissime come la Dea Mefite, venerata in questi luoghi come nume tutelare della fertilità e della terra.
E poi i Romani con Venosa, che diede i natali al poeta latino Orazio; i Normanni con Melfi, quando tra il 1000 ed il 1100, incrociando il loro animo guerriero con l’antica spiritualità italo-greca (che si alimentava dell’esperienza monastica basiliana), andarono a forgiare su quei territori una nuova cultura di stampo fortemente europeistico ante litteram, inaugurata politicamente da Carlo Magno e proseguita poi con gli Ottoni sino a Federico II che farà del maestoso castello di Melfi la propria residenza ed una delle roccaforti strategiche del Sacro Romano Impero contro l’invasore infedele, inquadrando tale zona all’interno d’un sistema difensivo innovativo e avveniristico costituito nel Giustizierato di Basilicata attraverso un atto giurdico di rilievo storico denominato “Statutum de reparacione castrorum”.
Basti pensare che la prima Crociata, promossa da papa Urbano II, fu indetta ufficialmente a Banzi, (annoverato non a caso fra i nostri Lvci Dvracrvxiani), un incantato borgo lucano ove ogni anno si celebra la ricorrenza dell’evento attraverso una pomposa rievocazione storica (foto).
Forse nessun altro punto geografico dell’Europa costituisce quel perfetto fuoco di intersezione delle tre grandi culture occidentali, l’ellenica, la latina e la gotica, i tre grandi imperi d’Occidente che seguendo una linea longitudinale, non poi così solo immaginaria, sembrano volersi passare cronologicamente il testimone d’una egemonìa fatidica e ideale che ieraticamente rappresenti l’ascensione dell’uomo verso l’Alto.
Ed il tempio di Hera, eretto presso Metaponto nel VI secolo a.C. sui resti di un preesistente villaggio neolitico, e chiamato a partire dal Medioevo anche “Tavole Palatine” (forse per averne Carlo Magno ripreso le fattezze esteriori nel far disegnare la propria mensa palatina, o forse in onore di Ottone II che ivi stanziò le proprie truppe in occasione della grande e gloriosa offensiva sferrata contro i saraceni nel 982), è una degna rappresentazione topografica di tale fusione ideale e politica. Quel che è certo è che all’ombra di quelle colonne ancora vibrano i dotti sussurri dei discepoli pitagorici che vi si raccoglievano per studiare gli insegnamenti del grande matematico nativo di questi luoghi e che, val ricordarlo, ben poco ha da invidiare in termini di riconoscimenti storico-scientifici ai suoi colleghi arabi, cinesi, atzechi o egizi…troppo spesso mendacemente considerati dai soliti patetici xenofili d’accatto le sole grandi menti scientifiche dell‘antichità..
E lo stesso monachesimo occidentale ha lasciato qui le proprie veementi testimonianze ancora una volta in controtendenza rispetto al flusso di eventi storico-politici propri della latitudine del luogo: l’influenza bizantina sul meridione d’Italia dopo la caduta dell’Impero d’Occidente è stata indubitabilmente forte, sebbene osteggiata con onore ed orgoglioso irredentismo ereditario da parte di chi, a ragione, si sentiva ben più romano di Bisanzio per maggiore prossimità etnica, culturale ma soprattutto per diretta discendenza giuridico-politica: Longobardi, Franchi ed infine gli ultimi e più sincretici depositari dell‘”imperialità romana“, i Germani.Ed a conferma di tali consecutiones storiche soccorre in primis l’archeologia: monumenti ipogei come le chiese rupestri del materano, ed in particolare la Cripta del Peccato Originale, forse la più importante scoperta di archeologia cristiana dal dopoguerra, interamente affrescata con scene della creazione ad opera di monaci benedettini dell’VIII secolo, confermano, con una sorta di “innesto della tradizione pittorica beneventana”, una presenza monastica non di matrice bizantina, come sarebbe stato geograficamente più logico, bensì monastico-occidentale, e quindi filo-imperiale, che testimonia come la Lucania sia passata dai Greci ai Germani senza esser transitata per dominazioni levantine, al pari di altre regioni meridionali meno fortunate come la Sicilia, la Puglia e la stessa Campania.
Del resto, l’ossessiva presenza di maschere apotropaiche in pietra di ogni dimensione, incastonate negli angoli più reconditi dei vicoli paesani di questi scrigni d’arte svettanti di torri e campanili, devono aver avuto il loro effetto per aver protetto così amorevolmente un territorio che appare immacolato nella sua preservazione architettonica, artistica e ambientale: Craco, il paese fantasma (dove son state girate le sequenze più drammatiche della “Passione” di Mel Gibson, ma anche, insieme ai “Sassi” di Matera, scene dell’ultimo “Guerre Stellari” – non che ciò debba esserne vanto, ma una constatazione di pregio estetico sì -); Ripabianca, appollaiata su un colle da cui risplende in quel suo lucore che fa comprenderne il nome; Vaglio, che ospita un altopiano interamente occupato da siti archeologici risalenti al neolotico all’interno dei quali compaiono misteriose croci greche istoriate nella pietra a riprova dell’immanente valenza antropologica occidentale del sacro simbolo; Atella, caratterizzata da una spettacolare piazza monumentale. Che dire?! Parliamo di borghi d’inestimabile fascino che sembrano strappati alle tele di qualche pittore romantico (e quanti ne son venuti qui a trarre ispirazione, soprattutto tedeschi..).
Acerenza, altro borgo che toglie il respiro, preserva forse la più bella cattedrale in stile romanico-normanno che si trovi su suolo italico, e la cripta, datata 1524 raccoglie testimonianze templari ed una serie di affreschi del Todisco che richiamano al senso più profondamente cristiano della vita e della morte (foto).La presenza templare e dei Cavalieri Teutonici, testimoniata non solo da numerose commende fra cui, celeberrima, quella di Venosa, ma soprattutto da incontrovertibili prove simbologiche repertabili ovunque sul territorio della regione, ha sempre assicurato una salvaguardia degli accessi a e dal mare efficiente e capillare, garantendo alla Lucania una salubrità invidiabile rispetto ad eventi invasori ed inculturazionisti: citiamo per tutti l’evento storico che vede gli Ospedalieri nel 1480 respingere l’assalto dell’esercito di Maometto II durante il tentativo di occupazione rodiese, alla cui difesa contribuìrono decisivamente le forze cristiano-occidentali coalizzatesi contro gli infedeli e dipartitesi proprio dai porti lucani.A questo riguardo non possiamo descrivere che come “indescrivibile” (ma testabile da chiunque volesse tentare l’impresa) l’emozione dell’approdo dal mar Jonio alla costa metapontina da Noi effettuato, pagaja alla mano, partendo dalla spiaggia di Nova Siri in direzione della foce del fiume Sinni, lungo lo specchio di golfo antistante Metaponto-Policoro: in questo punto la costa è rimasta talmente incontaminata – persino dal cemento alberghiero – che riteniamo la scena che ci ha accolti possa esser stata davvero simile a quella vissuta dai primi visitatori greci che sbarcarono qui oltre 700 anni prima di Cristo (foto): uno sconfinato arenile incorniciato da una folta vegetazione boschivo-marittima che, inoltrandoci lungo il corso del fiume una volta superata la foce, offre una varietà di specie animali e vegetali a tutt’oggi insperabile da potersi scorgere con tanta facilità (foto). Ed il pensiero vola ad oltre quella foce, punto d’intersezione ed incontro fra due magnifiche civiltà consanguinee: la greca e la latina; il salato della commozione prende il posto di quello degli schizzi della risacca nel preciso istante in cui la nostra piccola prora di tecnologico poliuretano espanso scivola oltre tale limes compiendo un passaggio geofisico così semplice, ma dal tenore simbolico così elevato e solenne. (foto)
E poi Matera (foto), che con la sua sconfinata gravina (foto) offre allo spettatore quel qualcosa di spiazzante che troppo spesso gli esterofili da erba del vicino sempre più verde – grazie al cagar sulla propria – sono andati a cercarsi all’estero, senza mai farsi un giretto in auto dalle proprie parti.Quanto a Matera di notte è un altro spettacolo decisamente da vivere più che da leggere: nostro impegno è fornire lo spunto, la garanzia e qualche immagine, nulla di più, il resto è lì che v’aspetta!
Il piccolo lago vulcanico di Monticchio è bellissimo, immacolato nella sua perfezione geometrica, ed ha nell’estrema profondità delle sue verdi acque una caratteristica geologica che gliene garantisce primato nazionale. Chissà che là sotto non si celi in qualche modo anche parte di noi…una foto subacquea l’abbiamo comunque strappata al pelo d’acqua e alle ninfee che ne velano l’alveo.
Concludiamo con il cibo gustato in occasione del viaggio: divino come il vino, e come gli dei che, greci, romani o lucani, se ne saranno deliziati a sfinimento sin dall’inizio dei tempi, e così è rimasto: mare o montagna, con pochi euro gusterete alla grande e ovunque una cucina semplice, ricca e identitaria; da segnalare le burrate fresche di giornata servite nelle masserie: almeno in quel latte vero come la vita il tempo s’è fermato da un pezzo, sprezzante certezza di qualsiasi indegna sofisticazione organolettica: sa di latte lucano perché è prodotto in Lucania.

“URTARONO GLI SCUDI DI CUOIO, LE LANCE E IL FURORE DEGLI UOMINI CORAZZATI DI BRONZO; E GLI SCUDI DI BRONZO COZZARONO INSIEME; GRAN FRAGORE SALIVA”Omero, Iliade, VIII.

HELMUT LEFTBUSTER e G.dX.

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